La rivoluzione sanitaria
Da un mese circa soffro di una fastidiosa tosse che nonostante gli sciroppi non accenna a passare. L’unica cosa positiva è che, grazie ad un paio di aspirine, non ho più la febbre che avevo nei primi giorni. Poiché il medico mi ha consigliato di non uscire di casa ne approfitto per scrivere qualche cosa che, per rimanere in tema, riguarda le malattie.
Fino ad un paio di secoli fa i problemi di salute costituivano una preoccupazione per la maggioranza della gente. Molti bambini morivano nei primi mesi di vita e quelli che superavano la difficile fase dell’infanzia spesso morivano pochi anni più tardi a causa di malattie come la tubercolosi o il tifo. Ferite anche di piccola entità prodotte ad esempio da un oggetto sporco, se generavano un’infezione, potevano condurre alla morte.
Sebbene alla fine del Settecento i medici e gli scienziati conoscessero la funzione dei principali organi del corpo umano e sapessero che nell’aria che respiriamo vi fosse un gas, l’ossigeno, essenziale per la vita, tuttavia poco erano informati a proposito delle malattie. Per esempio non sapevano nemmeno cosa fosse in realtà una malattia, ma nonostante ciò erano a conoscenza del fatto che le malattie potevano trasmettersi dal malato alla persona sana. Ma vi era un’altra cosa non così facile da scoprire che venne osservata sulle persone malate che erano guarite e cioè che alcune malattie potevano essere contratte una volta sola: sopravvivendo si acquistava una certa resistenza a un nuovo attacco.
IL VAIOLO
Fn dai primi anni del Settecento era noto che chi guariva dal temutissimo vaiolo era protetto da una ulteriore comparsa della stessa malattia. Il vaiolo generava grosse vesciche su tutto il corpo e spesso il paziente moriva a causa della febbre molto alta mentre coloro che sopravvivevano restavano segnati da profonde cicatrici lasciate dalle pustole. La malattia era temuta soprattutto dalle donne giovani e belle perché se guarivano rimanevano sfigurate in viso per tutta la vita. Ne derivavano tentativi di protezione di soggetti sani mediante inoculazione di materiale vaioloso. Il metodo di proteggersi attraverso la somministrazione della stessa sostanza che genera la malattia era praticato in Turchia da tempi immemorabili. É possibile che sia derivata dagli esperimenti del primo tossicologo conosciuto nella storia, Mitridate VI re del Ponto, che aveva postulato che ci si poteva immunizzare contro i veleni assorbendone regolarmente in piccole quantità. E il Ponto è l’antica regione dell’Asia Minore sistemata a nord dell’attuale Turchia.
La scoperta di questa malattia fu fatta su basi confuse e incerte. All’inizio si pensava che avesse origine da un’infezione degli zoccoli dei cavalli, e che da lì si sarebbe propagata ai bovini e forse anche all’uomo. In realtà la malattia veniva trasmessa da contadini infetti che contagiavano le vacche nelle quali il vaiolo da umano si trasformava in vaccino (da vacca, un termine che si usa anche per distinguere il latte di bovino da quello di altro tipo, ad esempio di capra). I due tipi di vaiolo si assomigliavano molto, ma non erano identici.
La famosa e bellissima nobildonna inglese Lady Mary Worley Montagu trovandosi in Turchia dove si era recata con il marito, mandato in quel Paese come ambasciatore, era venuta a sapere che alcune donne praticavano quella tecnica contaminandosi a bella posta con il siero estratto dalle pustole di un malato affetto da una forma lieve della malattia nella speranza di rendersi immuni da un attacco violento. Di ritorno in Gran Bretagna, la nobildonna aveva applicato la tecnica di cui era venuta a conoscenza in Turchia su alcune donne. La pratica però a volte aveva successo e a volte no.
Pochi anni più tardi il medico scozzese Edward Jenner (1749-1823), pur consapevole che il metodo indicato da Lady Montagu fosse pericoloso, tuttavia lo applicò anch’egli ad alcuni dei suoi pazienti per proteggerli dal vaiolo. D’altra parte, la malattia era talmente temuta che molti preferivano lo stesso affrontare il rischio. Nello stesso tempo, lavorando in campagna, il medico venne a sapere che le donne addette alla mungitura delle vacche contraevano la malattia, ma in misura minore. La vacche giovani, come abbiamo accennato, si ammalavano di una forma attenuata di vaiolo detto vaiolo bovino (o vaccino) che talvolta si trasmetteva all’uomo e soprattutto alle ragazze addette alla mungitura sulla pelle delle quali si formavano delle vescicole di piccole dimensioni e soprattutto in questo caso la malattia non era mortale. Inoltre, una volta guarite, queste giovani donne divenivano resistenti sia a quella forma sia al ben più grave vaiolo umano.
Quando il medico venne a sapere che le donne addette alla mungitura venivano colpite in misura minore dal vaiolo umano mentre erano più soggette a quello vaccino pensò possibile che le due malattie fossero così simili, che una difesa stimolata contro il vaiolo delle vacche proteggesse anche dal vaiolo vero e proprio. Naturalmente per avere la conferma che la sua ipotesi fosse corretta era necessario effettuare un esperimento sotto controllo. Infettò quindi un ragazzo con materia tratta da una pustola della mano di una mungitrice che era ammalata di vaiolo bovino. Una settimana più tardi il ragazzo ebbe un po’ di febbre ma si riprese subito. Dopo due mesi arrivò la parte cruciale e più pericolosa dell’esperimento: Jenner inoculò di proposito nel ragazzo il vaiolo umano. Egli non prese la malattia: era immune.
L’esperimento dimostrò definitivamente che era possibile dare agli uomini una protezione contro il vaiolo senza correre rischi. Jenner dette alla tecnica il nome di vaccinazione dal termine che indicava il vaiolo vaccino. Purtroppo un medico ambizioso, ma sprovveduto, venuto a conoscenza della tecnica usata da Jenner per evitare il vaiolo, tentò anch’egli di mettere in atto la stessa pratica, ma lo fece in modo improprio causando la morte di alcune persone. I detrattori di Jenner approfittarono dell’insuccesso del medico inesperto per opporsi al metodo ideato da Jenner il quale però dimostrò che il prodotto utilizzato dal suo emulo era stato inquinato da germi del vaiolo umano. Inoltre, Jenner non effettuava il suo prelievo che al settimo giorno dall’apparizione delle pustole, vale a dire quando il germe aveva perduto gran parte della sua virulenza. Malgrado l’intensa ostilità la vaccinazione praticata dal medico scozzese guadagnò terreno: nel 1800 fu introdotta in Francia e nel 1803 venne creata in Gran Bretagna la Royal Jennerian Society che assicurava al pubblico la vaccinazione gratuita.
Il principio della vaccinazione con germi attenuati scoperto da Jenner aveva fatto il suo cammino nello spirito dei medici, nonostante fosse evidente che non si potevano inoculare gli stessi germi di una malattia contro la quale si voleva immunizzare con il rischio di scatenare la malattia stessa. Sebbene si ignorassero a quel tempo i meccanismi immunitari il concetto cominciava tuttavia ad aprirsi un cammino e si postulò giustamente che l’inoculazione di un germe attenuato poteva aiutare l’organismo a riconoscere un germe virulento e a difendersi contro di esso.
Nonostante molti scienziati fossero contrari all’azione di Jenner la vaccinazione si diffuse lo stesso e oggi il vaiolo è scomparso, prima infezione completamente debellata sul nostro pianeta. Nel 1980 l’OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità) ha dichiarato scomparso il vaiolo: in Italia da quella data la vaccinazione non è più obbligatoria.
LA PULIZIA
Un primo tassello nella ricerca della verità era stato posto: ora si trattava di individuare gli altri fino ad ottenere il quadro completo della difesa dalle malattie. Il tassello successivo fu individuato cinquanta anni più tardi in una zona d’Europa lontana dall’Inghilterra. Questa volta non si trattava di vacche, ma di lavarsi le mani. Oggi lavarsi, e non solo le mani, è una abitudine radicata in tutti i paesi civili ma nei secoli scorsi erano pochi coloro che si curavano della pulizia del proprio corpo.
Verso la metà del 1800 il medico ungherese Ignáz Semmelweis (1818-1865) lavorava nel reparto ostetrico di un ospedale di Vienna dove erano ricoverate giovani donne che avevano bisogno di assistenza medica durante il parto. Nell’ospedale erano presenti due reparti ostetrici: in uno di essi molte donne avevano la febbre alta subito dopo il parto e in alcuni casi morivano. La malattia veniva chiamata febbre puerperale (puerperio è il periodo dopo il parto) e nessuno era in grado di spiegare da dove avesse origine. Paradossalmente era molto più sicuro partorire in casa o addirittura per strada, cosa che a quei tempi era abbastanza frequente. La situazione era talmente assurda che le donne in procinto di mettere al mondo un figlio facevano di tutto pur di non finire in ospedale. Per dire il vero molti medici credevano ancora, come i filosofi dell’antica Grecia, che le malattie fossero dovute ai “miasmi”, una sorta di gas che sarebbero fuorusciti dalla terra, o per interventi “dall’alto”. Se a un certo punto un ospedale veniva colpito da queste presenze malefiche non c’era niente da fare.
Semmelweis non la pensava così e si mise a cercare quale potesse essere la causa reale della malattia. Innanzitutto si insospettì del fatto che in uno dei due reparti di ostetricia vi fossero molti più decessi che nell’altro e dedusse che doveva esserci qualche cosa di diverso fra i due ambienti dello stesso ospedale. L’unica differenza che notò stava nel fatto che il reparto in cui si moriva di più era gestito da studenti di medicina, mentre nell’altro la responsabilità era affidata ad ostetriche. Gli studenti andavano a visitare le puerpere dopo essere stati a lezione di anatomia dove effettuavano anche alcune autopsie sui cadaveri. Forse era proprio questa operazione che sporcava le mani degli studenti di qualche germe letale che poi veniva trasferito sulle giovani mamme.
Ordinò quindi agli studenti, prima di visitare le neo mamme, di lavarsi le mani con un sapone che conteneva diossido di cloro, un efficace disinfettante, usato anche dagli addetti alle latrine di Vienna. Grazie a questo accorgimento tutto sommato molto semplice le morti diminuirono vistosamente e per alcuni mesi non vi fu nemmeno un decesso. Incomprensibilmente il medico ungherese incontrò un ostacolo imprevisto. La maggior parte dei medici si rifiutò di seguire le sue direttive risentiti del fatto che fossero stati considerati la causa diretta delle infezioni, sostanzialmente degli assassini, e inoltre umiliati per essere costretti al continuo lavaggio delle mani. Nella protesta furono aiutati anche dal fatto che il medico fosse ungherese e l’Ungheria in quel tempo era in rivolta contro i suoi governanti austriaci. Semmelweis fu quindi allontanato dall’ospedale viennese e costretto a ritornare in patria dove, in un ospedale locale, riuscì a ridurre il tasso di mortalità delle gestanti semplicemente pretendendo norme igieniche molto stringenti da parte dei medici.
L’umiliazione per il torto subito fu tale però che generò nel “selvaggio ungherese”, come veniva chiamato dai suoi detrattori, una depressione così forte che fu necessario il ricovero in un ospedale psichiatrico dove morì, a soli 47 anni, a causa di un’infezione contratta durante un intervento chirurgico. La misteriosa malattia contro cui aveva lottato l’aveva ucciso.
I pochi medici che si trovavano d’accordo con Semmelweis avevano lo stesso suo problema: nessuno di loro era in grado di spiegare per quale motivo fosse così importante lavarsi le mani e quale fosse la causa della malattia. Quando la risposta finalmente arrivò non fu trovata in ospedale, ma nel vino contenuto nelle botti in attesa di essere imbottigliato e venduto.
LA SOLUZIONE
La soluzione del problema fu trovata da un giovane chimico di nome Louis Pasteur (1822-1895) con l’aiuto di uno strumento che avrebbe rivoluzionato la biologia. Lo strumento era il microscopio (dal greco: mikros, piccolo e skopeo, osservo, guardo) inventato da un ricercatore olandese di nome Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723). Si tratta di una prima applicazione delle lenti per osservare oggetti estremamente piccoli. Le lenti prodotte dallo studioso olandese avevano un così alto potere di ingrandimento da permettere l’osservazione di singole cellule viventi. Le prime cellule che osservò Leeuwenhoek furono gli spermatozoi che egli chiamò “homunculi” ritenendoli microscopici ometti. La scoperta resterà ignorata per duecento anni come ignorata sarà anche la scoperta dei batteri, che rimasero anch’essi pressoché sconosciuti, fino alla loro riscoperta da parte del già ricordato chimico francese Louis Pasteur.
La scoperta dei batteri è stata uno degli esempi più eclatanti di scoperte dimenticate. Senza riconoscere la presenza dei batteri i medici continuavano ad attribuire le cause delle malattie a credenze astratte o a pregiudizi. Leeuwenhoek, in effetti, non si accontentò di avere scoperto i “microrganismi” come egli li aveva definiti, ma sembra che avesse anche intuito il potere infettivo di essi. Il ricercatore olandese compì una mole gigantesca di osservazioni al microscopio studiando tutto ciò che gli capitava sotto mano e alla fine si imbatté anche nei lieviti. Si tratta di sostanze conosciute da migliaia di anni anche se non con questo nome. Sono però sicuramente antiche almeno quanto lo è la panificazione e la produzione del vino. Se alla pasta del pane (farina, acqua e un po’ di sale) si aggiunge un pizzico di lievito (da un termine latino che significa “sollevare”) iniziano ad apparire delle bolle che gonfiano la pasta rendendola leggera. I lieviti accelerano anche la trasformazione del succo d’uva e di altri tipi di frutta in alcol.
Il vino era ed è uno dei prodotti più importanti in Francia. La bevanda alcolica veniva preparata secondo il metodo tradizionale aggiungendo del lievito al mosto che subiva la fermentazione, cioè gli zuccheri contenuti in esso si trasformavano in alcol. Il prodotto doveva poi riposare in grandi vasche per un certo tempo durante il quale il vino spesso si inacidiva diventando imbevibile. A quell’epoca gli scienziati ritenevano che la fermentazione alcolica fosse un fenomeno esclusivamente chimico, ma Pasteur riuscì a dimostrare il ruolo essenziale svolto in tale processo dal lievito che egli studiò al microscopio notando che era fatto di cellule viventi e che quelle presenti nel vino erano di aspetto diverso: oltre alle cellule che provocavano la fermentazione ve ne erano anche di un altro tipo.
Il chimico francese osservò che il processo di inacidimento iniziava dopo che era terminata la fermentazione, quando cioè i lieviti non erano più indispensabili. Se quindi venissero eliminati tutti, quelli della fermentazione che ormai si era completata e quelli responsabili dell’inacidimento, non si sarebbe provocato alcun danno al vino. Suggerì pertanto un sistema per eliminarli che fece inorridire i produttori. Il sistema indicato dal chimico francese consisteva nello scaldare il vino ad una temperatura di poco superiore ai 50 gradi centigradi. L’industria seguì riluttante i suoi suggerimenti e scoprì, incredula, che l’inacidimento effettivamente cessava mentre il vino non veniva minimamente danneggiato: il suo aroma si conservava.
Il processo di riscaldamento del vino, che fu chiamato pastorizzazione, in seguito venne applicato anche ad altre bevande, a cominciare dal latte, per uccidere eventuali germi patogeni in esso presenti. Con la soluzione del problema dell’acidità del vino non si fermò tuttavia il lavoro di ricerca di Pasteur. Se c’erano microrganismi in grado di danneggiare le bevande forse ve ne potevano essere anche alcuni capaci di nuocere all’uomo. Non era escluso che fossero proprio i microrganismi a causare le malattie. I microrganismi che generano le malattie si chiamano batteri e la teoria di Pasteur venne chiamata “teoria dei batteri”. Non tutti credevano a questa eventualità perché a costoro sembrava impossibile che un organismo piccolo come un batterio potesse danneggiare un organismo grande come un uomo. La teoria di Pasteur era invece in grado di spiegare come si trasmettevano alcune malattie. Se qualcuno aveva dentro di sé dei batteri, venendo a contatto con un’altra persona poteva trasferirne alcuni su di essa. La teoria ad esempio spiegava come mai tante donne morivano nell’ospedale di Vienna: mentre gli studenti sezionavano i cadaveri alcuni batteri rimanevano sulle loro mani e da lì finivano sugli organi delicati delle giovani mamme. Se gli studenti si lavavano le mani i batteri morivano e le donne non si ammalavano.
BATTERI DAPPERTUTTO
Intorno alla metà del 1800 Pasteur, che frattanto da chimico si era trasformato in biologo, fece una serie di esperimenti che dimostravano che i microrganismi vagano anche nell’aria e che alcune malattie si trasmettono senza che le persone entrino in contatto fra loro. Poiché secondo Pasteur gli ospedali erano luoghi in cui i batteri nocivi erano più abbondanti che altrove sarebbe stato necessario trovare un sistema per eliminarne il più possibile.
Il medico scozzese Joseph Lister (1827-1912), figlio dell’inventore del microscopio acromatico (cioè privo di fastidiose iridescenze) annunciava, in una lettera indirizzata al padre, di avere sferrato un deciso attacco chimico contro i germi. Il principio antisettico consisteva nell’uso di disinfettanti in medicina e in sala operatoria. Egli aveva sentito parlare di una sostanza chimica, il fenolo (o acido fenico), che veniva usata per il trattamento delle fogne e sembrava che questa sostanza rendesse innocui quegli ambienti per gli esseri umani e ciò in conseguenza del fatto che uccideva i batteri. Cominciò quindi col pulire le ferite dei pazienti, che erano stati operati, con il fenolo. Fino ad allora, qualsiasi ferita profonda provocava inevitabilmente un’infezione.
Visto il successo del fenolo sulle ferite il medico scozzese proseguì spruzzando le sale operatorie con lo stesso prodotto. L’odore della sostanza era molto forte ma il suo impiego servì a salvare molte vite. Nel frattempo il medico tedesco Robert Koch (1843-1910) scoprì che era anche importante tenere puliti gli strumenti utilizzati per interventi chirurgici. Koch sapeva che i batteri morivano nell’acqua bollente e pretese quindi che gli attrezzi chirurgici venissero sterilizzati con quel sistema.
Pasteur studiando il colera dei polli, una malattia che provocava la morte di migliaia di questi volatili, fece casualmente una scoperta fondamentale. Egli aveva preparato una serie di iniezioni di batteri del colera che dovevano essere inoculati nei polli di lì a pochi giorni per verificarne gli effetti, ma il suo assistente si dimenticò dell’incarico che aveva ricevuto. Quando dopo lunghi mesi il collaboratore di Pasteur fece finalmente le iniezioni che avrebbero dovuto far morire i polli in poco tempo notò invece che questi animali si ammalavano lievemente guarendo in pochi giorni. La cosa ancora più sorprendente si verificò quando gli stessi polli ricevettero una iniezione di batteri “freschi”: questa volta non si ammalarono affatto!
Pasteur si ricordò di Edward Jenner e della sua vaccinazione antivaiolosa. Evidentemente i batteri del colera, rimasti inutilizzati per tanto tempo, si erano indeboliti al punto da risultare innocui. Nello stesso tempo però notò che l’organismo del pollo era in grado di riconoscere i batteri nocivi che gli erano stati inoculati successivamente e quindi renderli inoffensivi. Egli aveva scoperto un nuovo vaccino del tipo di quello messo a punto da Jenner. Gli esperimenti vennero fatti sugli animali ma valevano anche per le persone? Naturalmente Pasteur sapeva che era necessario procedere con cautela perché il minimo errore sarebbe stato sfruttato dai critici per attaccarlo.
Convinti di avere individuato un nuovo vaccino dopo quello del vaiolo, Pasteur e i suoi collaboratori decisero di impegnarsi nella ricerca di altri metodi per indebolire gli agenti patogeni. Ora la ricerca si indirizzava verso un vaccino contro la rabbia (da un termine latino che significa “infuriarsi”, perché la malattia attacca il sistema nervoso e produce dei sintomi simili a quelli della pazzia). Questa malattia, detta anche idrofobia (dal greco: hydor, acqua e phobos, paura) colpisce molti animali domestici fra cui i cani che diventano rabbiosi ed è anche pericolosa per l’uomo perché il morso di un cane malato può contagiare le persone che si ammalano a loro volta e vanno incontro ad una morte straziante. Dopo lunghe osservazioni Pasteur si convinse che la rabbia si trasmetteva attraverso la saliva dell’animale nella quale doveva esserci il germe responsabile della malattia che comunque non fu mai possibile vedere al microscopio.
Dopo lunghi esperimenti Pasteur riuscì a mettere a punto un vaccino antirabbico da iniettare sui cani ma non c’era la prova che lo stesso sarebbe stato efficace anche sull’uomo. Il riscontro arrivò quasi per caso quando nel laboratorio del ricercatore francese si presentò un ragazzino che era stato morso da un cane affetto da rabbia. Su di lui vennero fatte una serie di iniezioni del vaccino antirabbico ricavato dal midollo spinale di galline colpite da quella malattia. Il bambino guarì, la notizia si sparse in tutto il mondo e Pasteur divenne una specie di dottore dei miracoli. L’esattezza della teoria dei batteri si faceva sempre più strada e non solo fra i medici e negli ospedali. Anche la gente comune cominciò a capire l’importanza dell’igiene: tenere pulite le abitazioni e lavarsi spesso divennero abitudini normali.
Pasteur tuttavia non aveva una risposta a tutti i misteri delle malattie; per esempio non riuscì mai a individuare nella saliva dei cani rabbiosi quelli che lui pensava fossero dei piccoli batteri. In realtà non si trattava di batteri, ma di virus (termine che in latino significa veleno) cioè di microrganismi mediamente migliaia di volte più piccoli dei batteri e per vedere i quali si sarebbe usato il microscopio elettronico, che a quel tempo non era ancora stato inventato.
LE DIFESE IMMUNITARIE
A parte gli uomini stessi, i virus sono i nostri maggiori nemici viventi. Questi microrganismi sono quasi invulnerabili all’attacco dei farmaci o di qualsiasi altra sostanza artificiale: eppure l’uomo è lo stesso riuscito a resistere al loro attacco grazie alle formidabili difese contro le malattie di cui naturalmente è dotato. Nei secoli passati, quando non vi era alcun concetto di pulizia e di igiene, quando non vi erano impianti idraulici che garantissero acqua potabile e non vi era nemmeno un vago concetto di trattamento medico, l’uomo si è difeso dalle peggiori epidemie semplicemente morendo. La peste nera che colpì l’Europa nel XIV secolo fece una strage uccidendo una persona su quattro: la cosa sorprendente tuttavia non è il numero dei morti, bensì il fatto che tre persone su quattro sopravvissero a quella tragedia. Quando si diffonde una epidemia non tutte le persone si ammalano ma fra quelle che vengono colpite alcune si ammalano in forma leggera, altre si ammalano gravemente e un certo numero muore: è evidente che da parte dell’uomo esiste una resistenza naturale ad ogni malattia.
Solo ultimamente abbiamo iniziato a capire come funzionano le difese immunitarie. Pasteur, pur disponendo di pochissime informazioni, riuscì a raggiungere risultati molto importanti in questo campo. Il successo ottenuto nel caso della rabbia portò ad una ricerca intensa di vaccini contro altre malattie. Quando un batterio o un virus riesce a penetrare in un corpo le difese immunitarie si mobilitano nel tentativo di sconfiggere gli intrusi. Una volta vinta la battaglia la difesa immunitaria ha costituito un composto chimico, l’anticorpo (dal greco: anti = contrario), che fa sì che i batteri o i virus vengano immediatamente riconosciuti e annientati se tentano di introdursi nuovamente nel corpo. Quando ero piccolo la mia sorellina si ammalò di morbillo ed io fui messo a dormire nello stesso letto affinché venissi contagiato. La malattia è provocata da un virus e sui bambini produce dei sintomi relativamente leggeri rendendoli però immuni per il futuro, quando la malattia sarebbe stata molto più grave.
Ogni sostanza che possa provocare la formazione di anticorpi, quindi non solo microrganismi nocivi ma anche generiche tossine è detta antigene, cioè generatore di anticorpi. La conoscenza di questi antigeni che possono essere anche farmaci particolari è estremamente importante per la prevenzione delle malattie. In pochi anni vennero individuati vaccini contro il tifo, la difterite, la poliomielite, il morbillo, la rosolia, la pertosse ed altri flagelli. Oggi, tutte queste malattie sono quasi completamente scomparse. Ma i vaccini non risolvono tutti i problemi. Le infezioni batteriche in passato erano molto temute perché a volte bastava un taglietto ad un dito per generare un’infezione e uccidere una persona. Il primo rimedio contro le infezioni fu trovato per caso.
Nel 1928 il biologo scozzese Alexander Fleming (1881-1955) studiando delle colture di Staphilococcus aureus (dal greco-latino staphylé = grappolo + kókkos = chicco e con l’aspetto dell’oro), il batterio responsabile della formazione del pus, osservò un fenomeno singolare. In una capsula di Petri, cosiddetta dal nome dell’assistente di Koch, Julius Richard Petri, il batteriologo scozzese depose un singolo batterio facendo uso di un ago sottile e notò che intorno ad esso si sviluppò una colonia pura di questi microrganismi. Ciò è dovuto al fatto che in queste vaschette di vetro rotonde, poco profonde e piene di un terreno di coltura, ossia di sostanze nutrienti costituite da agar, (una sostanza simile alla gelatina ottenuta da alghe marine), i batteri non possono muoversi o allontanarsi dal capostipite della colonia. Fleming notò che la capsula di Petri nella quale era stato fatto sviluppare il batterio del pus era stata accidentalmente contaminata da una muffa verdognola e la cultura di stafilococchi presenti era quasi scomparsa. Fleming studiò la muffa e scoprì che si trattava di funghi microscopici della specie Penicillium (dal latino penicillum = pennello, perché il fungo ha effettivamente l’aspetto di un minuscolo pennello), cioè un parente delle muffe che si depositano sul pane raffermo e sui formaggi tipo gorgonzola. Analizzò il fenomeno e scoprì che la muffa messa a contatto con lo stafilococco produceva un fluido battericida che chiamò penicillina. Si trattò del primo antibiotico (da parole greche che significano “contro la vita”). Per la sua scoperta Fleming ricevette il premio Nobel nel 1945.
La penicillina si dimostrò sorprendentemente efficace nella cura della polmonite e della scarlattina mentre non funzionava nel caso di altre infezioni. Col tempo si scoprirono nuovi antibiotici che colmavano i vuoti lasciati dalla penicillina. La lotta contro le malattie non è mai finita: compaiono costantemente nuovi germi che gli antibiotici non riescono a debellare. I batteri e i virus resistenti rappresentano un buon esempio di come funziona la teoria dell’evoluzione la quale spiega che tutti gli esseri viventi sono in continua e lenta trasformazione. Un esempio noto a tutti è quello che riguarda l’influenza. Il vaccino antinfluenzale dell’anno prima non è più efficace l’anno seguente come sanno bene coloro i quali si vaccinano tutti gli anni in autunno, in quanto il virus che causa l’influenza cambia cioè muta di anno in anno. A ciò si aggiunga il fatto che compaiono in continuazione nuove malattie.
Fra il 1918 e il 1920 circa quindici milioni di persone morirono a causa di una potente forma influenzale chiamata “spagnola”. Da questa malattia fu colpita anche mia madre che però guarì (altrimenti io non sarei qui) perché evidentemente le sue difese immunitarie, caso piuttosto raro, riuscirono a sconfiggere l’invasione dei virus. Altri casi altrettanto pericolosi e più recenti sono quelli del virus dell’AIDS e dell’Ebola. Oggi siamo meglio attrezzati e sappiamo far fronte a queste malattie che tuttavia a volte riescono a colpirci. Una cosa è certa, non riusciremo mai a liberarci completamente delle malattie, ma se vogliamo evitare le epidemie del passato è necessario portare avanti la ricerca scientifica. Grazie ai progressi della medicina (e della chirurgia) la vita media, forse non di tutti, ma sicuramente degli abitanti dei Paesi più sviluppati, è passata dai circa cinquant’anni della fine Ottocento ai circa ottanta attuali. Ognuno di noi, in media, ha avuto in dono una trentina d’anni di vita. Pur riconoscendo che vi sono malattie che non sono ancora state vinte, la vita media si è allungata tanto che la gerontologia (lo studio dei fenomeni legati alla vecchiaia) diventa sempre più importante come specialità medica e i medici sono sempre più impegnati nella battaglia per rendere la vecchiaia un periodo della vita più sano, più piacevole e più lungo per tutti.
Prof. Antonio Vecchia