La scoperta del bosone di Higgs
Dopo trent’anni di tentativi andati tutti a vuoto il 4 luglio 2012 i fisici del CERN di Ginevra hanno annunciato che il bosone di Higgs, noto anche come la particella di Dio, era stato finalmente individuato. L’inafferrabile particella era stata osservata all’interno del Large Hadron Collider (LHC) un gigantesco macchinario dedicato alla fisica delle particelle subatomiche.
ATLAS E CMS
Il Large Hadron Collider (Grande Collisore di Adroni, ossia di protoni e ioni pesanti) sostituì il Large Electron Positron (LEP) costruito dal CERN con una spesa di un miliardo di dollari all’inizio della seconda metà degli anni Ottanta dell’altro secolo. Si trattava di un acceleratore di particelle che comprendeva una galleria circolare di 27 kilometri ricavata nel sottosuolo della città di Ginevra ad una profondità media di 100 metri. Il nuovo collisore alimenta quattro rivelatori estremamente sofisticati ed efficienti dei quali però due soli, l’ATLAS e il CMS, hanno il compito di individuare il bosone di Higgs, la particella che completerebbe il cosiddetto Modello Standard della fisica delle particelle. I rivelatori che registrano gli esiti delle collisioni sono sistemati all’interno di grandissime cavità scavate nella roccia. L’apparato sperimentale ATLAS, ad esempio, è di dimensioni enormi, misurando 46 metri di lunghezza e più di venti di altezza per un peso di circa settemila tonnellate.
Il Modello Standard comprende le particelle subatomiche realmente elementari. Esse sono dodici: sei quark (up, down, charm, strange, top e botton) e sei leptoni. Questi ultimi sono l’elettrone, il muone e il tauone più i tre corrispondenti neutrini (l’elettronico, il muonico e il tauonico). A queste, che sono particelle materiali, cioè fermioni, si devono aggiungere le particelle mediatrici delle forze, ossia i bosoni. Del gruppo dei bosoni mancava uno solo, per l’appunto il bosone di Higgs. In realtà il gravitone, ossia il bosone che dovrebbe trasmettere la forza di gravità, non è stato ancora rivelato sperimentalmente e quindi per ora rappresenta solamente una particella ipotetica.
Qualche anno più tardi dell’entrata in funzione dell’LHC, negli Stati Uniti, i fisici delle particelle, incoraggiati dall’amministrazione Reagan, progettarono una macchina ancora più ambiziosa di quella europea, del costo di diversi miliardi di dollari, a cui fu dato il nome di Superconducting Super Collider (SSC). In essa, lo scontro fra protoni e antiprotoni, avrebbe creato energia di 40.000 miliardi di elettronvolt (pari a 40 TeV). 1 TeV (tera-elettronvolt) corrisponde a 1012 eV. Il gigantesco macchinario americano era stato progettato con il fine dichiarato di scoprire il bosone di Higgs. Nel 1993 quando il costo previsto, già elevatissimo, raddoppiò fino a raggiungere i 10 miliardi di dollari, il Parlamento americano votò per chiudere il progetto.
A questo punto l’LHC diventava il più potente strumento al mondo disponibile per cercare la sfuggente particella ipotizzata dal fisico scozzese Peter Higgs (1929 -) dell’Università di Edimburgo quasi cinquanta anni fa. In questo macchinario vengono fatti scontrare due fasci di protoni e di antiprotoni che corrono affiancati ma in verso opposto all’interno dell’anello circolare di 27 km che faceva parte del precedente LEP. I protoni vengono accelerati per mezzo di 1600 giganteschi magneti superconduttori che li vincolano a ruotare dentro l’anello, fino a raggiungere velocità estremamente elevate, per poi farli scontrare. Quando le particelle si scontrano si annichilano ossia spariscono liberando tutta l’energia che avevano accumulato lungo la corsa all’interno del tunnel sotterraneo. Quanto maggiore è la velocità, tanto più grande è l’energia che le particelle posseggono al momento dell’urto. L’energia che si libera verrà utilizzata dalla natura per creare nuove particelle in accordo con quanto previsto dalla famosa equazione di Einstein: E=m・c2 che mostra che energia (E) e massa (m) sono interscambiabili, cioè da materia, in determinate condizioni, si può ricavare energia e da energia materia; c è la velocità della luce, una costante. L’LHC lavora da poco più di un anno ad energia che è poco più della metà della massima potenza per cui l’impianto è stato progettato. L’elettronvolt (eV) è l’unità di misura usata dai fisici delle particelle al posto del joule (J). Per definizione, 1 eV = 1,6・10-19 J. Molto usati sono i multipli dell’eV: 1 MeV (mega-elettronvolt) vale 106 eV; 1 GeV (giga-elettronvolt) vale 109 eV; 1 TeV (tera-elettronvolt) vale 1012 eV.
L’equazione di Einstein scritta sopra mostra che quanto maggiore è l’energia disponibile tanto maggiore è la massa della particella che da essa si può ricavare. Il predecessore dell’LHC, il LEP, era stato in grado, facendo scontrare all’interno del tunnel di 27 km elettroni e positoni energia di oltre 200 GeV e pareva che avesse rilevato la presenza di una particella intorno al valore di 115 GeV/c2 una quantità non sufficiente per produrre il bosone di Higgs, il quale dovrebbe avere una massa di circa 125 GeV/c2. Le masse in uso fra i fisici nucleari non sono espresse in kilogrammi, ma in MeV/c2 o il GeV/c2. Se la massa di un corpo viene espressa in kilogrammi, l’energia corrispondente risulta espressa in joule, ma in fisica delle particelle risulta più comodo esprimere le masse in termini di energia equivalente, perché in tal modo appare subito evidente qual è l’energia minima che si richiede per produrre una determinata particella all’interno dell’acceleratore. La massa del protone, ad esempio, che è di 1,67・10-27 kg, corrisponde, in termini di energia equivalente, a 0,938 GeV/c2. Il bosone di Higgs, che come abbiamo visto, dovrebbe avere una massa che sta intorno a 125 GeV/c2 (corrispondente a 2,2・10-25 kg) dovrebbe quindi pesare circa 133 volte più del protone.
LE TRACCE
Alla conferenza del 4 luglio Fabiola Gianotti e Joseph Incandela i portavoce dei due gruppi di fisici che hanno individuato la traccia lasciata da una particella che mai prima di allora era stata osservata, hanno annunciato con una certa prudenza la scoperta della particella chiamandola “bosone di tipo Higgs”. I portavoce dei due gruppi di ricerca (ATLAS e CMS) hanno insistito sul fatto che, se da un lato i due esperimenti hanno rilevato una nuova particella mai osservata in precedenza, dall’altro non si hanno ancora elementi sufficienti per affermare che si tratti proprio del bosone di Higgs. Quest’ultimo è un corpuscolo piccolo, instabile ed elusivo tanto da non poter essere visto direttamente nemmeno con il più potente microscopio esistente: esso è individuabile solo a partire dai prodotti del suo decadimento.
Le tracce che si osservano all’interno dei due rivelatori sono in numero straordinario e fra queste vi sono bosoni di vario tipo e anche molte coppie elettrone-positone generate dalle più disparate fonti. La ricerca viene fatta scartando gli eventi che sicuramente non possono avere come capostipite il bosone di Higgs. Le tracce da analizzare sono in ogni caso molti milioni ed anche scartando quelle più improbabili ne rimangono migliaia da analizzare ogni minuto.
Le particelle che si materializzano con l’energia che si genera dallo scontro fra protoni e antiprotoni non solo sono tante, ma anche instabili e quindi destinate a decadere quasi istantaneamente in altre particelle di cui i rivelatori registrano le tracce. Il bosone di Higgs come abbiamo detto, è una particella molto instabile che appena si forma, si trasforma in altre particelle le quali, a loro volta, decadono generando ulteriori nuove particelle. A questo punto è facilmente comprensibile quanto sia difficile, partendo da particelle di seconda o di terza generazione, risalire al progenitore di esse.
I segnali dei dati registrati nel 2012 erano gli stessi che erano stati osservati sei mesi prima con un valore di energia intorno a 125 GeV. Questa coincidenza convinse gli scienziati che vi erano buone probabilità che grazie agli esiti delle collisioni registrate dal rivelatore CMS si potesse affermare di avere scoperto il bosone di Higgs. Analoghe rivelazioni si ebbero per l’esperimento ATLAS. Sembrava già tutto risolto e invece ci volle ancora più di una settimana di lunghe giornate di lavoro e notti insonni prima che questi fisici fossero certi di poter concludere che la probabilità di questi eventi fosse corrispondente al severo standard dei “5σ” (5 sigma) a cui si attengono i fisici delle particelle per confermare una scoperta.
In campo scientifico si usa annunciare una scoperta solo quando si è praticamente certi che l’evento sia reale e non sia frutto di una semplice fluttuazione statistica. La regola è che bisogna essere certi al 99,9999% del risultato (in gergo statistico si dice: sicuri a 5σ). A dicembre del 2011 ci si fermava a poco più del 99% e per questo motivo la raccolta di dati è proseguita nel 2012. A luglio di quell’anno si era giunti al valore significativo di 5σ e solo allora si è deciso di dare l’annuncio della scoperta alla stampa.
Riconoscere la natura della particella è però altra cosa. Accertata l’esistenza di una nuova particella con una massa intorno a 125-126 GeV/c2, ora si vuol capire se si tratta effettivamente del bosone di Higgs. Il valore della massa farebbe pensare a quella particella, ma sembra che i fisici non avessero fretta per trarre conclusioni.
Mentre essi erano ancora impegnati alla verifica e al completamento del Modello Standard già guardavano verso nuove teorie. Fra le tante merita di essere citata la Supersimmetria la quale ipotizza l’esistenza di un partner bosonico per ogni fermione e un partner fermionico per ogni bosone in modo che ad ogni particella materiale ne corrisponda una mediatrice di forza e viceversa. Per distinguere fra i partner si mette una “s” davanti al nome della particella partner del fermione (l’elettrone, ad esempio, ha come partner il selettrone) e la desinenza “ino” per i partner dei bosoni (il fotone, ad esempio, avrà come partner il fotino).
La teoria affascina i fisici perché prevede l’esistenza del bosone di Higgs in modo spontaneo, mentre il meccanismo che conferisce massa alle particelle materiali è una specie di corpo estraneo introdotto forzatamente e imposto dall’esterno. Rimane un problema di non lieve entità in quanto nessuna delle particelle supersimmetriche è stata vista in natura né osservata negli acceleratori. I fisici nonostante tutto sono convinti della loro esistenza.
Prof. Antonio Vecchia